Si sta delineando un modo di concepire le nostre necessità basato sulla condivisione: il consumo collaborativo, vale a dire l’accesso condiviso ai beni di consumo. Parallelamente al declino di alcuni status symbol (come l’auto) e a una nuova sensibilità ambientale, l’accesso ai beni assume sempre più rilevanza rispetto al suo possesso.
Che cos’è il consumo collaborativo:
Partiamo dall’assunto che il consumo condiviso non è un’idea nuova. Antropologi e studiosi dello sviluppo identificano nel principio di reciprocità una delle basi del comportamento umano. Fino a cinquant’anni fa scambiarsi attrezzi, prestarsi denaro, aiutarsi tra vicini di casa era pratica comune e consolidata.
Il consumo collaborativo è, infatti, un vero e proprio modello economico che nasce negli USA alla fine del ‘900 ma che si sviluppa, di fatto, a partire dagli inizi del 2000.
Il termine coniato nel 1978 da Marcus Felson and Joe L. Spaeth, in un paper intitolato “Community Structure and Collaborative Consumption: A routine activity approach” rappresenta, almeno inizialmente, poco più di un modello teorico.
In anni più recenti l’idea viene poi ripresa da Ray Algar, in un articolo intitolato appunto “Collaborative Consumption” pubblicato nel Leisure Report Journal nel 2007.
Tuttavia, solo una successiva pubblicazione ad opera di Roo Rogers e Rachel Botsman, uscita nel 2010, “What’s Mine Is Yours: The Rise of Collaborative Consumption”, rappresenta la svolta vera e propria: dalla teoria si passa all’analisi concreta di strutture e modelli di un sistema che ha le carte in regola per rivoluzionare il nostro modo di consumare.
Un nuovo modello di business:
Prima nel mondo anglosassone e poi in tutto il resto d’Europa, si diffonde un modo di ripensare i rapporti tra le parti che compongono il mercato: l’individuo è al centro del sistema mentre internet e la rete danno voce e potere al consumatore, che diventa parte attiva e non più subordinata al mercato.
L’efficacia del consumo collaborativo si deve alle persone che ne fanno parte, un movimento che nasce dal basso e che crea del valore laddove ci sono risorse inutilizzate.
Si tratta della “generazione pay-as-you-live” e sono tutti coloro che preferiscono affittare, noleggiare, prendere un passaggio, scambiare. Non per rinunciare, ma al contrario, per accedere a un’esperienza e arricchirsi anche del corollario relazionale che a esso è associata.
Si sta creando una nuova massa critica.
Esempi di consumo collaborativo:
Con il consumo collaborativo si ridefiniscono le modalità di scambio di beni e servizi e, parallelamente, prendono forma e vigore nuovi modelli di business. Si tratta di una realtà in continua evoluzione in cui l’innovazione è una costante.
Piccole start-up e grandi istituzioni (come Harvard, MIT, ecc.) sperimentano nuove forme di approccio alla propria realtà: dall’agricoltura (Growtheplanet) all’educazione (Coursera, EdX, Oilproject, ecc.), dalla condivisione della casa (AirBnb, Bedycasa, ecc.) al car pooling (BlaBlaCar), dal prestito di denaro tra privati (Smartika) al bike sharing.
Perchè le persone partecipano al consumo collaborativo?
Sono innumerevoli le ragioni per cui le persone partecipano alla sharing economy, alcune date dal contesto storico che stiamo attraversando, altre indotte dalla società altre ancora sono motivazioni di tipo valoriale.
Ecco alcuni principali motori di partecipazione:
- Il pensiero verde: le persone hanno preso lentamente coscienza del fatto che continuare ad acquistare per il mero desiderio di possedere, produce spazzatura. La prospettiva di condividere permette di guardare con occhi diversi ciò che è già a disposizione o che gli altri possono fornire.
- La recessione: la crisi del credito e dei consumi è una condizione che, a livelli differenti, stringe le trame del potere d’acquisto e innesca la ricerca di processi di aggiustamento che permettano di non rinunciare del tutto alle esperienze vissute fino a oggi, ma di goderne in modo diverso e sostenibile. Il risparmio economico resta sempre un buon movente se si aggiunge la tendenza a rivalutare i beni e le risorse accumulate e mal utilizzate.
- Il bisogno di sentirsi comunità: condividere necessità e soluzioni con un gruppo di pari rende l’attività divertente. Si riscopre una dimensione sociale fatta di persone, caratteri, umanità, passioni e interessi comuni.
- La lunga marcia tecnologica: web e accesso mobile sono le stelle polari che oggi consentono di creare quell’universo di contatti e connessioni senza i quali la sharing economy non esisterebbe. Inoltre, internet ha introdotto meccanismi di reputazione (peer to peer) che ricadono sulla propria immagine.
- Ad oggi i numeri del consumo collaborativo sono in continua crescita e stanno ottenendo fette di mercato sempre più consistenti. Per molti oggi consumo collaborativo significa ottimizzare, ridurre, risparmiare e guadagnare.
E’ un’economia che fa della sostenibilità la propria bandiera, un modo nuovo di ripensare al consumo in cui il protagonista è l’individuo.