Non sono molte le città che hanno nel loro Statuto, solennemente affermato nel 1450 dai Malatesta, che è necessario festeggiare il Carnevale. Fano ha questo privilegio. Ma esiste un altro documento del 1347, conservato nell’Archivio storico comunale, che permette di dire agli abitanti che il Carnevale di Fano è il più antico d’Italia.
Un antico storico fanese, Vincenzo Nolfi, ricorda tra i divertimenti carnevaleschi la corrida con il porco, le corse ai palii, i tiri al bersaglio e il singolarissimo “gioco delle trippe”. Venendo a tempi più vicini, in una canzonetta a stampa del 1765 si parla oltre che di festini, scherzi e maschere, del “getto” che è una delle caratteristiche del Carnevale fanese, “dei confetti sparsi la via biancheggia”. Avviciniamoci ai giorni nostri, ricordando che un manifesto del 1872 informa la cittadinanza della costituzione della Società della Fortuna, antenata dell’odierno Ente Carnevalesca, e del programma dei “divertimenti carnevaleschi” dello stesso anno. Fano ha dunque, oltre che un Carnevale la cui genesi si perde nei secoli, un’organizzazione per i festeggiamenti che ha superato il secolo di vita. Una storia ed una tradizione che poche altre città in Italia e nel mondo possono vantare.
Oggi il Carnevale di Fano è la più importante festa popolare delle Marche ed una delle prime in Italia con una partecipazione di oltre 100.000 persone.
L’edizione invernale, anche se non tutti gli spettatori ne sono consapevoli, non è che la rivisitazione in chiave moderna dell’antico ed eterno rito del “capro espiatorio”. Il “Pupo” simboleggia l’animale sacro sul quale la comunità scaricava e forse scarica ancor oggi le colpe commesse nei giorni di licenza erotica del Carnevale. Rito che non poteva non concludersi con il rogo che divorando con le fiamme il “Pupo” purifica tutti e conclude il Carnevale.
Ai corsi mascherati i grandi carri allegorici che sfilano insieme alle mascherate a piedi, bande musicali e gruppi folkloristici, interagiscono con gli spettatori sia per lo spettacolo di movimenti, coreografie e musica, sia per il “getto” di quintali e quintali di dolciumi sul pubblico che attende in grande animazione ed a mani levate quella pioggia che ha fatto definire il Carnevale di Fano il Carnevale più dolce del mondo. I carri sono veri e propri palcoscenici mobili in cui accade di tutto e che al tramonto si illuminano di mille colori grazie all’uso sapiente di luci dando luogo a visioni di grande suggestione nel classico giro della “luminaria”. La sfilata è chiusa tradizionalmente dalla “Musica Arabita”, musica arrabbiata, un singolare complesso musicale nato nel 1923 e molto imitato in Italia e all’estero.
Come ha scritto Fabio Tombari, la “Musica Arabita” è una “festosa diavoleria”, un esempio vivente della genialità ed umorismo degli artigiani fanesi, quelli stessi che da sempre con sacrifici durissimi allestiscono con l’aiuto di veri artisti i grandi carri allegorici. Di essa si sono interessati scrittori e artisti: Curzio Malaparte scrisse che mai aveva udito una musica siffatta; Guido Piovene, nel suo “Viaggio in Italia”, parlò addirittura di “jazz italiano”. Certo è che basta vedere una volta i suoi strumenti ed ascoltare una volta le sue esibizioni per comprendere l’orgoglio popolare della sua origine, quello stesso orgoglio che si respira nei capannoni dove nel lungo inverno si allestiscono i carri, quello stesso orgoglio che è facile cogliere sul volto dei fanesi quando la prima domenica di Carnevale questi mostri dell’allegria vedono la luce.
L’orgoglio legittimo di chi sa di far parte di una tradizione antica e di una élite ristrettissima, quella di coloro che hanno mantenuto in vita, rivestendolo di arte e cultura, un antico rito: il Carnevale, che non si celebra soltanto durante le guerre, quando cioè la morte prevale sulla vita.
Fonte: www.carnevaledifano.com